piccole utopie crescono nella “contromappa” di Smorto
di Anna Mallamo — 29 Agosto 2021
Segnateveli, questi nomi: Goel, Ecolandia, Musaba. La Guarimba, Paleariza. Mulinum. La Lampara, Fili meridiani. Partite da questi per tracciare una controcartina della Calabria, anzi delle Calabrie come le conosciamo noi che a vario titolo ci viviamo o continuiamo a tornarci. Perché la Calabria, le Calabrie (sono tante) non ti lasciano mai, per quante volte puoi lasciarle e per quanto lontano puoi andare.
Lo sa bene Giuseppe Smorto, giornalista e calabrese di diaspora e di ritorno: per quarant'anni a Repubblica, come caporedattore e poi direttore del sito, fino alla vicedirezione del quotidiano. Lui ci ha provato a ridisegnarla, la Calabria riottosa e di pessima fama, ripercorrendosela tutta, palmo a palmo, dallo Stretto al Pollino. Cercava quello che molti di noi, calabresi o semplici innamorati della Calabria, cercano: capirci qualcosa, sciogliere l'enigma d'un luogo così ricco e miserrimo, magnifico e miserabile, dove le più incredibile bellezze sono vicine, sono dentro brutture insopportabili, e le stesse cose possono apparire poetiche e feroci nello stesso tempo, in un inestricabile labirinto di contraddizioni.
Lo dice fin dal titolo del suo bel libro, “A Sud del Sud” (Zolfo editore), che colloca l'incollocabile Calabria in una zona ulteriore, più a Sud della questione meridionale (e siamo d'accordo che già il Sud è contenitore magico-tragico di differenze e confini); col sottotitolo “viaggio dentro la Calabria tra i diavoli e i resistenti”, che cita la nota, antica definizione estesa più o meno a tutto il Meridione di «paradiso abitato da diavoli», ma va oltre, introduce una parola preziosa: «resistenti».
Perché la cosa più ingenerosa che si può fare alla Calabria è liquidarla come terra senza speranza, condannata dai suoi stessi abitanti all'accettazione passiva di ogni orrore, ogni abuso. Che vengano dall'occhiuta, onnipresente e ubiqua 'ndrangheta o dalla burocrazia borbonica, dal malaffare politico o dalla “semplice” incompetenza (che, si sa, è sempre la peggiore forma di corruzione).
Invece c'è, ci sono molteplici Calabrie resistenti, ciascuna a suo modo, e mapparle – come fa Smorto nel suo appassionato libro – non vuol dire solo riconoscerle, ma in qualche modo metterle già a sistema, schiudere un orizzonte e soprattutto indicare l'unica strada possibile (questa sì unitaria e valida per ogni Calabria e calabrese, di passo e di ritorno, di lamentazione e di scoramento): fare, e fare tutti assieme. «Ci sono molte vite di impegno, attenzione e coraggio», scrive Smorto nel capitolo zero, brevissima introduzione a un discorso che vuol essere il più possibile parco di metafore e colmo di esempi (ché di Calabria parolaia impelagata in improbabili autodifese che cominciano da Omero – e più o meno restano lì – ne abbiamo pieni gli scaffali).
Dalla consapevolezza che esiste una terra “non rassegnata” da raggiungere e raccontare nasce il viaggio. Perché questa è una certezza: la Calabria si deve camminare. In treno, in auto, a piedi, bisogna farla palmo a palmo, riconoscendone la paradossale natura di isola (ben più della Sicilia, che è terra di approdi almeno quanto la Calabria è terra di trincee sui monti) dove tutto, a partire dalle strade, è difficile e sconnesso. E tanto più importanti sono allora i legami, le reti, i ponti, le connessioni virtuose che riusciamo a stabilire e ci fanno comunità. Se ne esce solo tutti assieme, lo sappiamo da sempre e, se possibile, l'ultimo anno e mezzo ce lo ha certificato con evidenza: nessuno si salva da solo.
Che sorpresa, allora, la Calabria del consorzio Goel (nome biblico che significa «uomo che riscatta l'altro», e come programma esistenziale, culturale e politico potremmo pure fermarci qui): 47 fra aziende agricole e cooperative sociali con quasi 400 dipendenti impegnati in progetti virtuosi e (ohibò) persino redditizi. Perché in Calabria anche il prezzo d’un chilo di arance può avere un valore politico, può essere un frammento di lotta alla 'ndrangheta (una delle ultime trasformazioni della mafia, si sa, è l'“agromafia”, capace di inquinare produzioni e distribuzioni). La cosa più bella di quelli di “Goel” – ma non solo loro – è la pura 'ntigna calabrese: un attentato distrugge un trattore? Loro lo ricomprano nuovo. I “vandali” bruciano tredici ulivi? Loro ne ripiantano ventisei. Subiscono un danneggiamento? Fanno una Festa, e la chiamano Ripartenza.
Certo, ci vuole molto coraggio, e caparbietà e forza civile, per resistere. Anche perché è una guerra potenzialmente infinita, e questo giustifica lo scoramento che prende soprattutto i giovani, e chi sceglie di andarsene perché non vede futuro. Non possiamo biasimarli. Ma possiamo raccontare – e Smorto lo fa con intensità e grazia – le storie di chi, invece, è tornato: come il dottor Lino Caserta col suo Centro di Medicina solidale (ma tutti i capitoli sulla “sanità dal basso” sono assolutamente esemplari); come Federica Basile della “Fattoria della Piana” che sforma formaggi antichi ma moderni; come l'architetta Ursula Basta che ha fondato la piattaforma “Fili Meridiani” a Carfizzi (il paese di Carmine Abate, scrittore che racconta la Calabria profonda da fuori ma da dentro, anche lui in un gioco di partenze e ritorni che è di tanta letteratura meridionale).
Le storie di chi (folle, benedetto) investe in cose come la ricerca, l'economia civile, il turismo responsabile, l'antico sapere artigiano, i libri (avete mai letto “Oga Magoga” di Giuseppe Occhiato?), i prodotti (conoscete la prugna di Terranova Sappo Minulio?).
Discorsi, progetti, valori che incrociano quelli di studiosi come l'antropologo Vito Teti, il teorico del costrutto della “restanza” i cui lavori sul senso dei luoghi sono noti in tutto il mondo, e che di Smorto è interlocutore privilegiato. Di luoghi abbandonati, nemmeno “non luoghi”, ma addirittura “ex luoghi”, le Calabrie sono piene: piene di vuoti, ossimori per definizione. Il tema delle aree interne, del loro ripopolamento e rivitalizzazione, caro a Teti e a una generazione di studiosi, è tema cruciale per il futuro di tutto il Paese: in Calabria se ne parla da anni, e si lavora a piccole utopie che stanno crescendo. Dopotutto, l'utopia è etimologicamente perfetta per un ex luogo…
Sono tanti, e tutti ardui, i percorsi di resistenza, e passano per i mali cronici della Calabria: lo spopolamento e la malasanità (lo stiamo vedendo in tempi di Covid, con la vicenda farsesca dei commissari, con gli indicatori che fanno finire in zona rossa non per numero di contagi ma per deficit di strutture...), lo strapotere delle 'ndrine e i traffici tossici, di droga o di rifiuti speciali. Ci sono, nel libro, calabresi come il sindaco Mimmo Lucano, come il giudice Nicola Gratteri, di cui sappiamo già molto: fanno parte di questa Calabria resistente di cui però è più bello cogliere il nome sconosciuto, la soluzione imprevista, la capacità che sorprende.
Letteralmente, si svela la Calabria che non ci aspettavamo. Non possiamo che esserne grati a Giuseppe Smorto, anche se ci mette davanti a una nostra precisa responsabilità: aggiungerci alla resistenza. Subito.